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UNA CONVERSAZIONE ITALO-FRANCESE IN EUROPA SUI PRIMI 100 GIORNI DEL NUOVO ELISEO - Huffington Post,


Una mia amica è stata tra i primi sostenitori di Macron, è a lui molto vicina e ha salutato la sua vittoria non solo come una liberazione dell’incubo Le Pen, ma anche come una svolta per l’Europa. Siamo stati in molti a pensarlo, aggiungendo l’apprensione che alle grandi attese possono seguire le grandi delusioni. Questa mia amica è francese ed è anche una militante del federalismo europeo. Molto francese e molto europeista.

Le ho chiesto di questi primi passi del Presidente francese, alcuni dei quali irrompono nella politica italiana. Ecco, in sintesi, quanto, da francese e da europeista, e pure da persona che bene conosce il nostro paese, mi ha detto.

Ha evocato subito cinque episodi significativi del nuovo corso inaugurato da Macron.

Il primo è l’incontro con Putin, dove il Presidente francese ha “addressé” e “encadré” l’ostico interlocutore russo come nessun’altra autorità dell’UE aveva fatto finora, nemmeno la pur determinata Merkel, affermando una dimensione europea, parlando chiaramente di diritti dell’uomo, il tutto ammorbato con un senso di amicizia e di seduzione. Il secondo episodio è solo apparentemente di politica interna: la legge sulla moralità della politica, una revisione organica dei ruoli, dei privilegi delle incompatibilità, delle assunzioni di responsabilità, della trasparenza nelle istituzioni della Francia; ma anche un esempio per tutta l’Europa, alla faccia di chi, e la mia amica alludeva anche ma non solo all’Italia, avrebbe dovuto da tempo fare altrettanto come passo vero e indispensabile per fronteggiare sui contenuti i crescenti mal di pancia popolari.

Gli altri tre punti di questo inziale bilancio, riguardano invece proprio questioni che investono direttamente il nostro paese, per le quali le mie prime domande sono state: Ma ce l’ha con l’Italia? E dove è finito lo spirito europeista di Macron, tanto sventolato nella campagna presidenziale?

Il terzo episodio significativo è infatti la chiusura dei porti francesi alla richiesta italiana. La mia amica ha mostrato delusione per un cedimento agli umori dell’opinione pubblica transalpina. Si aspettava un comportamento diverso. Ma ha subito aggiunto due elementi, ricordando come sia stata Roma a barattare un minor sostegno europeo sulla politica migratoria in cambio della flessibilità nei conti pubblici, e come proprio l’Italia (come per altro ha chiarito anche Emma Bonino) chiese a suo tempo di far sbarcare i migranti solo nei propri porti. Roma si sarà scordata di questi passaggi, Macron no, come non si scorda neppure degli umori della propria opinione pubblica, la cui poco voglia di aiutare i paesi vicini non è molto diversa dalla chiusura che si ritrova in forme clamorose anche da parte di alcuni comuni o perfino regioni italiane – un accostamento, questo, poco edificante per il prestigio dell’Eliseo.

Il quarto episodio è l’accordo libico, con la sorprendente rapidità del negoziato, l’alta visibilità mediatica, la rispondenza agli interessi francesi, il ringraziamento di rito all’Italia quasi beffardo, e l’assenza dell’Europa. Un po’ poco per un europeista convinto. Ma in questo caso la mia amica non ha mostrato alcuna delusione, anzi: è l’Italia ad aver tergiversato per anni senza concludere nulla di serio con i libici, mentre l’Europa non si è mai investita politicamente in prima battuta, fidandosi anche degli sforzi di Roma. Il Presidente francese ha riempito un buco e si è dimostrato molto più veloce e più bravo, e “voi italiani potete solo abbiamo solo prendervela con voi stessi”.

Infine, la partita ancora aperta dei cantieri di Saint-Nazaire. Anzi, partita non molto aperta, secondo la mia inyerlocutrice, convinta che Macron non potrà e non vorrà tornare indietro sulla sua decisione di fondo, concedendo solo qualche accorgimento per permettere agli amici italiani di salvare la faccia. Ma come la mettiamo con l’impegno preso da Hollande, con il passato ruolo dei coreani, con la necessità, anzi la realtà, di un mercato europeo in barba a questi primitivi protezionismi, con la mortificante sfiducia mostrata verso un’eccellenza come Fincantieri? Anche in questo caso la mia amica ha mostrato un tocco di delusione verso l‘Eliseo. Ma ha insistito che Macron di Saint-Nazaire aveva già parlato anche in campagna elettorale, come elemento di una politica industriale forte, fatta di sostanza e anche di simboli, dove i simboli sono sostanza. Mi ha detto che in Francia le cose funzionano diversamente che da noi e che lo sappiamo benissimo: a Parigi per esempio, nessuno avrebbe permesso a un Marchionne francese di portare altrove sede fiscale, sede legale, sede operativa di alcuni dei più celebri marchi storici di una nazione (sottolineo il riferimento alla “nazione”, non solo al “paese”), che in Francia “sarebbero restati dove devono stare, ovvero a casa loro: in Francia”.

Per me resta un punto: al di là delle ripercussioni con l’Italia, sull’immigrazione, sulla Libia, sui cantieri navali, il neo presidente francese ha mortificato anche l’idea di Europa. Nei suoi primi passi c’è tanta Francia, e poco spirito comunitario. La francese federalista ha concordato, anche lei si aspettava qualcosa di diverso, ma non crede che Bruxelles aiuterà l’Italia: “Roma ha già abusato”, ripetendo quanto abbiamo letto sul Monde: “in Italia mettete i soldi per nazionalizzare le banche e per salvare ancora Alitalia; in Francia le priorità sono altre”.

Chissà. Ma non posso fare ameno di pensare che in Italia ci si gingilla da anni sui vitalizi e nessuno ha mai seriamente approntato una vera legge sulla moralità della vita pubblica, restando un paese più corrotto degli altri. Che è vero che dal semestre di presidenza del 2014 in poi, abbiamo perso parecchie occasioni per impostare l’agenda europea sull’immigrazione in un modo a noi congeniale, preferendo altre priorità e incapaci di creare alleanze. Che sulla Libia abbiamo ricevuto una lezione di diplomazia (vedremo poi quanto efficace). E che se anche conquistassimo i cantieri atlantici, ci dovremo ricordare dei fin troppi passaggi di proprietà di aziende strategiche italiane sotto alte bandiere, senza che nessuno abbia fiatato.

Così per due europeisti, a Parigi c’è un Presidente macchiato dai suoi primi cedimenti nazionali, temperati però dallo “scagli la prima pietra chi è senza peccato”. E per gli italiani il Presidente francese è uno specchio: ci guardiamo dentro e vediamo un’immagine inseguita, ma non è la nostra.


Niccolò Rinaldi


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