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UN’INTELLIGENZA ARTIFICIALE EUROPEA - Il Commento Politico, 27 maggio 2021



LETTERA DA BRUXELLES


Il “futuro prossimo” è la gestione della pandemia, in tutti i suoi aspetti. Quello più “remoto” è racchiuso nella Conferenza sul Futuro dell’Europa. L’”anteriore” può essere imputato alla crisi demografica dell’UE. Ma il Futuro con la lettera maiuscola e aggettivi, è l’intelligenza artificiale. È questa la sfida con la quale l’Europa si gioca il proprio avvenire, un posto a testa alta in un mondo dove saranno sempre in meno ad avere vero potere decisionale autonomo. La vera battaglia per la sovranità e la scelta delle alleanze strategiche si giocano in questo campo,.

Sanità e vaccini, sistemi di sicurezza e catene di produzione, piattaforme informatiche e mondo della comunicazione, mobilità private e pubblica, ricerca fondamentale e applicata – e molto, molto altro: tutto pare ormai condizionato dal ruolo dell’intelligenza artificiale. Coloro che deterranno brevetti, tecnologie e standard tecnici saranno tra i padroni del mondo, e qualsiasi concetto di Autonomia Strategica diviene una subordinata.

Tra gli innumerevoli sviluppi dell’I.A., soffermiamoci ad esempio sulla combinazione di algoritmi e banche di dati, la quale, senza una normativa efficace, può essere sviluppata da chiunque, creando nuovi modelli di comportamento sociale, di politica, persino di Stato. Con la Visione Artificiale, immagini e video vengono analizzati per esaminare lo spazio fisico e rispondere a modelli comportamentali. Con l’Elaborazione del Linguaggio Naturale, testo e voce vengono trattati non solo per traduzioni e riepiloghi, ma anche per l'analisi del sentimenti e l’ottenimento di informazioni in tempo reale - è in questo modo che le agenzie di sicurezza trattano testi personali, messaggi telefonici o di posta elettronica raccolti dai motori di ricerca. I contenuti generati a livello di programmazione costituiscono forse l'applicazione più critica, in grado di generare rappresentazioni 3D di persone, luoghi e cose: con Deepfakes, si può sostituire un volto a un altro all'interno di un video, produrre immagini “reali” di persone e situazioni mai esistite.

Sono solo alcune delle tante complesse questioni a cui l’Unione Europea deve dare risposta. Il Parlamento Europeo sta attualmente discutendo del progetto di regolamento presentato dalla Commissione che pone le basi per la prima normativa al mondo su obiettivi e limiti dell’intelligenza artificiale. Per la vice-presidente della Commissione Vestager, l’UE deve diventare il leader mondiale di un’I.A. credibile, affidabile (trustworthy), aggiungendo che “nella nostra società non c’è posto per sistemi di sorveglianza di massa”. Propositi apprezzabili ma vaghi, perché non solo niente è semplice nel difficile contrappeso tra diritti dei cittadini e perimetri normativi, trasparenza della ricerca e sua promozione, ma è quanto accade altrove che rende l’”eccezione europea” particolarmente ambiziosa – e per alcuni velleitaria.

Negli USA si sviluppano tecnologie di riconoscimento facciale e controllo biometrico che per molti parlamentari europei sono potenzialmente discriminatorie e contrarie ai più minimi livelli di protezione della vita privata. Ma è, ancora una volta, la Cina a costituire la pietra di paragone di quello che si può fare ma che si vuole evitare, con uno scenario che ricorda il Grande Fratello di Orwell. Come la schedatura di massa tramite il “social scoring”, per assegnare, tramite riconoscimento facciale e algoritmi, una valutazione comportamentale di ogni persona con il suo supposto grado di asocialità e pericolo. Perfino senza fissa dimora sono “forniti” di questa schedatura. Simili sistemi sono impiegati nella repressioni a Hong Kong e della minoranza uigura – e basta un frammento di citazione coranica in una qualsiasi comunicazione per essere identificati e intrappolati dalla rete di sorveglianza.

Ma l’Europa ha anche presente quanto l’intelligenza artificiale abbia aiutato a controllare la pandemia nella Corea del Sud, sempre più paese traino nei semi-conduttori e nelle automobili intelligenti, o sia al centro delle politiche giapponesi, con applicazioni robotiche nell’assistenza agli anziani – comprese vere e proprie cinture muscolari - e perfino con programmi per invertire la forte denatalità.


Sono solo alcune gocce di un mare tumultuoso, che l’Europa deve saper solcare per non esserne travolta. La prima scelta è quella dei parametri normativi, rispetto ai quali il regolamento proposto, più che a dare una risposta, offre l’occasione per un confronto per niente facile. Il riconoscimento facciale è solo l’inizio di un lungo percorso di controllo, o di sicurezza (a seconda dei punti di vista), generalmente giudicato una linea rossa non valicabile. Tutto da scrivere resta il controllo sulla “democrazia degli algoritmi”, capaci di determinare profili commerciali di ciascun cittadino, e domani profili di potenziale non omologazione a comportamenti sociali graditi dal potere costituito: a quale punto del loro sviluppo occorre intervenire sul potere di cui dispongono, a quale autorità dovrebbero essere eventualmente assoggettati? L’uso dell’intelligenza artificiale nella medicina gode di buona stampa (ad esempio, permettendo di individuare attraverso immagini di TAC), ma quella nell’alimentazione quotidiana? Eppure, sono in buona parte campi con applicazioni di ricerca con matrici comuni. Né sfugge a nessuno che limiti rigorosi nella protezione delle libertà fondamentali, comporteranno l’emigrazione di laboratori e ricercatori verso lidi meno democratici e più flessibili.

La seconda sfida è quella dei volumi di investimento necessari per assicurare all’Europa un ruolo competitivo e, possibilmente, non dipendente. Su questo la partita pare persa: la Cina, con uno svantaggio di partenza, ha da tempo non solo strategie nazionali e provinciali avanzate, ma ha messo sul piatto circa centocinquanta miliardi di euro per lo sviluppo di programmi di intelligenza artificiale, attraverso varie iniziative non sempre facilmente tracciabili. Per gli europei sono livelli di finanziamento da sogno, che dovrebbero far riflettere i sovranisti che negano risorse alla ricerca europea che mai potrà crescere finché il bilancio dell’UE resta un misero 1% del pil, al cospetto del 20% del bilancio federale americano.


Tuttavia, anche un aumento sostanziale difficilmente permetterebbe all’Europa di raggiungere una massa critica tale da permettere una reale autonomia di ricerca e di parametri normativi. L’Intelligenza Artificiale diviene l’ombrello di sicurezza globale e sarà indispensabile non solo moltiplicare i programmi comuni con i “like-minded countries”, ma stringere una vera alleanza di fondo con quei paesi che sappiano coniugare valori democratici, rispetto della persona e innovazione – di fatto: Stati Uniti, Giappone, Corea, e anche India, Canada, Taiwan, Australia, Gran Bretagna.

Qualcuno prevede che il criterio di definizione di un “like-minded country” sarà stabilito proprio dal tipo di politica nei confronti dell’Intelligenza Artificiale, in un contesto dove niente è scontato e un generico richiamo all’Occidente o a un’”Alleanza delle Democrazie” è un atto di faciloneria. Sono molte infatti le differenze sul valore della protezione della riservatezza individuale, sul rapporto tra investimenti a scopo militare con successiva ricaduta civile o viceversa, sulla scelta tra legislazione leggera e regolamentazione più stringente, sugli stessi settori prioritari. Differenze che non devono scoraggiare di avviare subito ogni sinergia possibile laddove esista già una convergenza, rafforzando al contempo il confronto sui temi di divisione. Il presidente Biden offre una disponibilità al dialogo impensabile con la precedente amministrazione americana, ma non è solo una questione transatlantica, perché il pilone asiatico è e sarà sempre più fondamentale. Del resto, a parte gli Stati Uniti, nessuno può permettersi un ruolo da protagonista giocando da solo.

Un presupposto sul quale gli stessi paesi europei devono maturare una consapevolezza maggiore per dotarsi di un’unica squadra. A meno di non affidarsi anche in questo al potere degli algoritmi, che con le loro formule hanno già incapsulato i modelli liberali o marxisti, e magari sapranno presto “creare” un’Europa unita, affermata a tavolino virtualmente – il federalismo quale ultimo prodotto di un’intelligenza artificiale.


Niccolò Rinaldi

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