BPUR, PER LO STATO DI DIRITTO INTERNAZIONALE - Critica liberale/Non mollare, 7 dicembre 2020

BPUR: BAN OF POLITICAL USE OF RELIGION, UNA NUOVA BATTAGLIA PER LO STATO DI DIRITTO INTERNAZIONALE
È uno dei paradossi dell’umanità: la religione, che di per sé dovrebbe costituire un’esperienza di liberazione dalle miserie terrene e di elevazione spirituale, è stata e continua a essere troppo spesso un motore e un pretesto di oppressione, violenza, discriminazione. Messaggi espliciti o impliciti nelle scritture, capacità di catalizzare le masse per una causa annunciata come superiore e irrinunciabile, un’appropriazione delle più aggiornate tecniche di comunicazione di massa, ignoranza e superstizioni diffuse che sono facile terra di conquista per capetti religiosi o politici spregiudicati, la costante confusione di sacro e profano, la diffidenza se non l’aperta ostilità verso la cultura laica della separazione tra Stato e chiese e dell’affermazione dei diritti e dei doveri, l’identificazione in molti paesi tra fede identitaria e nazionalismo, la manipolazione della volontà individuale al punto da indurla ad atti di distruzione e autodistruzione in nome di un dio, la contrapposizione con buona parte del mondo scientifico, sono solo alcune delle lacerazioni della storia del mondo, a scapito della libertà della fede e dell’ascesi personale.
Poco è stato fatto si è potuto fare per porre rimedio: gli sforzi di uno stato di diritto liberale non mettono al riparo dagli odi che questo si attira, come dimostra la vicenda francese e le manifestazioni che, ben orchestrate, divampano contro Parigi in vari angoli del mondo; i leader religiosi si incontrano e si scambiano messaggi di dialogo, ma molti di loro sembrano o sono poco convinti di questo sforzo, venendo da persecuzioni inflitte o subite per troppo tempo. E alcuni di loro, al pari di media e politici alla ricerca del consenso facile, per riempire piazze altrimenti vuote sventolano un messaggio “celeste”, o meglio oscurantista, non “per Dio”, ma “contro qualcuno”. In questo panorama sconfortante, pare quasi ingenuo lo sforzo della campagna BPUR, un nome che è un’esortazione di etica e un acronimo ambizioso, Ban of Political Use of Religion. Ne sono ideatori un giornalista iracheno, Salam Sarhan, e un uomo d’affari egiziano, Naguib Sawiris, ovvero due persone che hanno una sufficiente pratica del mondo per conoscere dal di dentro le devastazioni che nel nome della religioni possono essere perpetrate. BPUR ha uno scopo preciso: pervenire, attraverso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a un trattato ONU, sulla falsariga di quanto fatto a suo tempo per l’istituzione della Corte Penale Internazionale o del Trattato di Non-Proliferazione.
Esiste un progetto di trattato, pubblicato sul sito dell’organizzazione – https://www.bpur.org/treaty - che non mira certo a ridimensionare né la natura confessionale di un paese né alcuna pratica religiosa, ma ogni violenza e discriminazione perpetrata in nome della religione. Esiste una rete aperta e ricettiva, e attualmente composta da un Advisory Board con membri da tutto il modo (con due italiani, Giuliano Terzi e il sottoscritto, mentre Elisabetta Zamparutti siede nel Board of Trustees), e soprattutto dei “legislative sponsor” che nei vari parlamenti si fanno promotori di iniziative per richiedere ai rispettivi governi il sostegno in sede ONU.
In appena tre-quattro mesi dall’avvio di BPUR e nonostante le restrizioni di campagna imposte dalla pandemia, le adesioni di parlamentari, accademici, giornalisti, ma anche membri di governo, si moltiplicano, soprattutto dall’Africa e dal Medio Oriente - oltre che dall’Europa e dalle Americhe - là dove il messaggio religioso è banalità quotidiana nella strumentalizzazione politica e costante pretesto di volenza. BPUR punta a una discussione e possibilmente a un’adozione da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU già l’anno prossimo o al più tardi nel 2022. Gli incerti strumenti della legalità internazionale sarebbero solo un primo tassello, ma probabilmente non velleitario – se già vediamo alcuni miracolosamente effetti deterrenti nella condotta di alcuni paesi in seguiti alla codificata responsabilità per crimini di guerra e contro l’umanità e al ruolo della Corte Penale Internazionale.
Da che mondo è mondo si è fatto un “uso politico della religione”, e “bandire” una tale pratica significa dare nuova fondamenta al vivere civile. Una base giuridica sarà un passo rilevante nello stato di diritto condiviso e una vittoria della laicità. Ma al di là dell’esito sperato, già il processo avviato da BPUR nella ricognizione del problema, nella denuncia e nella discussione, nel concorso di una sorprendente pluralità di buone volontà per individuare soluzioni, non sono il peggior modo di sfidare la pigra rassegnazione che spesso prevale. E quando sarà il momento, andremo a mettere una rosa ai piedi del monumento a Campo de’ Fiori.
Niccolò Rinaldi