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SEI CONSIGLI PER AFFRONTARE LA ZAVORRA DEL DEBITO PUBBLICO - Huffington Post, 26 luglio 2018



È il Convitato di Pietra della politica, anzi dell’intera società, italiana. Molti preferiscono ignorarlo, adottando la tecnica dello struzzo e sperando che qualcun altro levi le castagne dal fuoco. Altri si dividono tra le due strade maestre: fare più deficit per ridurre il debito (pare un controsenso, e in parte lo è davvero), e rilanciare la spesa pubblica auspicando di generare una ripresa del motore italiano che immetta maggiori risorse anche nelle casse dello Stato; oppure la solida “dura lex, sed lex” dei tagli alle spese, dell’austerità dal sapore di lacrime e sangue, o della più presentabile “disciplina di bilancio” che ogni famiglia avveduta, ogni comunità dovrebbe perseguire.

Tra queste due strade si aprono spazi creativi, seri o di cartapesta - provvidenziali acquisti da parte della BCE, innovativi criteri contabili, persino incentivi per rafforzare il possesso del debito nazionale da parte di cittadini italiani, mega-programmi di privatizzazioni o di dismissioni del patrimonio immobiliare o anche artistico del paese, e molto altro. Compresa la proposta che i federalisti europei hanno espresso da tempo, la federalizzazione della quota eccedente il 60% del debito (che in Italia sarebbe circa la metà del totale), manna del cielo che ha un suo rovescio, perseguito dagli europeisti e demonizzato dai nazionalisti: l’ulteriore perdita di sovranità nazionale in materia di politica economica e finanziaria.

Nel frattempo, il debito non cala - quasi cresce, pigramente, come un iceberg che ci siamo abituati a vedere di fronte a noi e che pare innocuo, ma che sciogliendosi finirà per sommergere la nostra costa.

Si delega al ministro di turno di far tornare i conti e il dibattito latita, tra idee più che altro individuali e poco confronto. Proviamo dunque a enunciare alcuni punti di metodo, ispirati alla cultura repubblicana - sinistra di governo, attenta alle ragioni del mercato nell’interesse collettivo - limitandoci a quattro questioni di fondo.

1. Priorità. Si affermi un senso di urgenza, un’”emergenza economica” memore del senso di priorità che portò Spadolini nei suoi governi - con la consapevolezza che il calo del debito è un nodo imprescindibile di ogni patto generazionale che permetta ai più giovani di credere nel paese. Che tale “emergenza” diventi orizzontale rispetto ad altre politiche del governo e delle Regioni.

2. Fiducia. Al tempo stesso si eviti ogni fatalismo catastrofista. Se fin qui quasi ogni governo ha fallito, la diminuzione del debito non è affatto impossibile e non fa necessariamente rima con depressione. Nonostante le sue specificità politiche quasi ancestrali, l’Italia non è un’isola a sé e può guardare ad paesi che seppure in contesti diversi sono riusciti a rientrare gradualmente dal loro debito con una politica razionale che non li ha per questo piegati in condizioni sociali inaccettabili. Ad esempio, per fare un nome e un cognome, si studi la riduzione (dal 117% all’84%) che a suo tempo menò Guy Verhofstadt in quanto primo ministro del Belgio.

3. Partecipazione. L’ampiezza della sfida rende improponibile che una significativa riduzione del debito avvenga solo attraverso scelte calate dall’alto. Soprattutto nel caso italiano si può avere successo solo con un piano trasparente e condiviso, comunicato con efficacia nei suoi costi e nei suoi benefici. Una sfida collettiva che raccolga contributi di buone pratiche contro gli sprechi e per la razionalizzazione della spesa pubblica da parte di categorie, enti locali, cittadinanza.

4. Riforme. La riduzione del debito è la madre di tutte le battaglie: ha bisogno di una riforma dei centri di spesa del paese, cosa che coincide con una riforma dell’ordinamento, come ad esempio il dimezzamento del numero di regioni, province, comuni; una sburocratizzazione che si traduca in immediati risparmi per i corpi sociali; una digitalizzazione sistematica – dal rapporto con la pubblica amministrazione ai libri di testo per gli studenti; l’abolizione una buona volta di mille enti trascurabili; un sistema pensionistico rigorosamente contributivo; lo stralcio o il rinvio di alcuni progetti per nuove infrastrutture dai costi in costante lievito e non prioritarie (il che non significa che siano inutili); la fine di troppi privilegi estranei all’interesse collettivo. E molto altro - un “molto altro” che è la vera ragione di un ottimismo di fondo in questa sfida, perché se il nostro è un paese profondamente indebitato, è anche un paese nel quale più che altrove sussistono sprechi, ordinamenti obsoleti e spese improduttive, che costituiscono altrettante occasioni di risparmio che non affossano il sistema del paese.

5. Programmazione. Anziché la logica ottusa dei tagli lineari, che una nuova disciplina di bilancio con tagli profondi agli sprechi, non sia, e nemmeno sia percepita, come assenza di investimenti e di esclusione sociale. In un periodo di modernizzazione e di contrazione della spesa pubblica, l’Italia ha tuttavia bisogno anche di segnali di esplicito investimento in settori per anni negletti. Da Ugo La Malfa possiamo riprendere la lezione della politica di programmazione, e individuare alcuni limitati settori nei quali bisogna non procedere per tagli lineari, ma con maggiori risorse. Settori nei quali convogliare a sistema le migliori energie del paese, in una programmazione che veda gli sforzi congiunti dei settori pubblici e privati in aree nelle quali ciò che viene speso oggi implica un risparmio domani, e ciò che viene lesinato oggi, comporta spese assai maggiori in futuro. Una bozza di catalogo:

La filiera della conoscenza - scuola, università, ricerca, attività culturali: filiera nella quale l’Italia può eccellere e che ovunque permette di uscire prima dalla crisi, crea posti di lavoro stabili, partenariato per attività industriali più innovative, e coesione sociale anche in termini di sicurezza dei territori, oltre a essere il solo vero volano di una dinamica che dovrebbe starci sempre a cuore, ovvero la mobilità sociale.

La riduzione del carico fiscale per le imprese e per le partite IVA e la semplificazione dell’impianto tributario, oggi di tipo feudale tanto che se in Germania ci sono 35 testi unici fiscali, noi abbiamo 388 leggi e 396 decreti attuativi - e tutto questo ha molta rilevanza anche nella riduzione del debito.

La messa in sicurezza ambientale del territorio soggetto a disastri naturali diffusi e così minato da decenni di deprecabili saccheggi e illegalità, del territorio, rispetto al quale i cambiamenti climatici non ci faranno sconti.

La definizione di un “porto franco” di servizi sociali garantiti e universali, non soggetti a tagli di spesa, che punti alla protezione sia dei settori meno tutelati sia alle famiglie con figli. Lo scopo di questa ultima misura è duplice: rendere uniforme sull’insieme del territorio nazionale servizi sociali essenziali che però tanti essenziali non sono più perché variano sensibilmente da regione a regione, lottare contro le nuove crescenti povertà, contrastare il crollo demografico, e creare nella cittadinanza un sentimento che seppure in tempo di ristrutturazione del debito pubblico e della spesa, lo Stato non si sottrare ai suoi compiti di solidarietà effettiva verso chi ne abbia più bisogno.

6. Automaticità. La costituzione di un fondo nazionale che in modo trasparente e automatico, assegni, per ogni euro risparmiato, una quota alla riduzione del debito, una per finanziare le politiche individuate programmaticamente e una per la riduzione del carico fiscale. Il risparmio, piccolo o grande, diverrà immediatamente convenienza per il cittadino.

Questi in un dibattito che stenta a decollare, i nostri, almeno inziali “two cents”.


Niccolò Rinaldi


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