LUCI E OMBRE SUL PRINCIPATO DI MONACO. Il principato di Monaco, paese sito a una manciata di chilome

Montecarlo. - Questo mare di mezzo, questo mare di fuoco, tomba per migliaia, ponte pericolante tra culture, canale irrisolto di tensioni, il Mare Nostrum di tanti e tanti popoli, questo Caucaso acquatico, antico e futuro, aperto e fortezza d’Europa, questo incerto mare Mediterraneo, contiene una zona franca, una perla rara che si protegge da sola. Imperturbabile, Montecarlo è una sorta di enclave storica oltre che statale, sinonimo di opulenza e di spensieratezza. Ed egoismo.
Spesso, come in Brunei o negli Emirati, opulenza fa rima con noia, con il trastullarsi di troppe ricchezze che piace ostentare e conservare, ma almeno a Montecarlo si è creato una epica da gioco e da yacht, da gite in mare d’altura e da notti gagliarde. E dire che da fuori, e anche da dentro, sulle prime il glorioso casinò ha un’aria così rassicurante, per bene, giocosa, con la sua architettura bonaria, elegante ma senza troppi fronzoli.
Per le strade a tratti pare di ritrovarsi in una paese da Fratelli Marx, la lieve caricatura di una capitale o almeno d’una grande città, o anche di un porto. Ma non è uno scenario di carta velina, non è lo sfondo di cartapesta per film di mielose storie d’amore per ricchi o di 007 salottieri, perché il Principato è molto, molto solido.
Montecarlo sfida le crisi e i tempi di Brexit e di integrazione europea. Qua pare non accadere nulla, non si registrano sobbalzi, non si vivono patemi d’animo elettorali o secessioni catalane, che pure sarebbero a un tiro di schioppo, mentre ancora più vicina è Ventimiglia con la sua tragica frontiera, o Tolone o Marsiglia, feudi del Front National. Questo porto è protetto da una cortina di ferro, l’ultima vera in Europa, un nastro isolante e impermeabile che lascia le incertezze dell’Europa oltre la sua dorata porta. A Montecarlo infatti non si vivono le drammatiche scelte della stagione, non c’è niente da scegliere, perché la scelta di fondo fu compiuta molto tempo fa: è quella della continuità, della calma, di uno status quo tranquillo e selettivo.
È semplicemente il luogo dove vogliono venire tutti – tutti quelli di un certo tipo. I “tutti” agognanti Montecarlo si dividono in almeno due categorie. Tra esse non sussiste alcun rapporto, non c’è storia comune.
Vi sono coloro che vanno a Montecarlo per un fine settimana, la vacanza, lo sballo mondano, a sputtanarsi divertendosi al casinò, a farsi belli con gli amici di casa col glamour “siamo stati a Montecarlo”, uno shopping non proprio da outlet. E ci sono quelli seri, che a Montecarlo hanno preso la residenza, quasi una vincita alla lotteria, la ingioiellata residenza, vera assicurazione contro le miserie di questo mondo, contro la banalità dell’ordinario; la residenza a Montecarlo: il certificato di ritrovarsi nel giro che conta. La “residenza”, sia ben chiaro, mica implica viverci a Montecarlo. Perché poi si lavora in Africa o nei paesi arabi, si abita in Svizzera o a Milano, è là che si fanno gli affari e si trascorre la maggior parte del tempo, ma insomma, la residenza monegasca sistema un bel po’ di cose – a cominciare da quelle fiscali, senza peraltro venir tacciati dai soliti invidiosi moralisti di fare i tamarri in qualche paradiso esotico, che so io alle Cayman.
Del resto qui il Secolo ogni tanto presenta il suo conto, esigendo omologazione con quel tocco di flessibilità che permette a Montecarlo di sopravvivere come un'icona del passato, un presidio folcloristico della storia europea. Così anche a Monaco hanno adottato l'euro, e l'adesione al Consiglio d'Europa del 2004 - nel quale già figuravano Andorra e San Marino - ha comportato vari aggiustamenti a un vestito legislativo che era fuori moda. Basti pensare che occorse un nuovo sistema elettorale per garantire all'opposizione una rappresentanza nel parlamento di 23 seggi eletto a suffragio universale dal 1962, quando anche le donne furono ammesse al voto; e nella stessa occasione fu abolita la tenera disposizione che riservava l'incarico di ministro di stato ad alti funzionari cittadini francesi proposti dal governo di Parigi; e altro ancora, compresa la possibilità di ospitare ambasciate (privilegio finora limitato), decisione attesa dai diplomatici di fine carriera.
Ché a Montecarlo ci andranno sempre pellegrini di un dubbio interesse. Per la più strana delle corse di formula uno, per giocare al casinò più mondano, per il festival internazionale del circo, per le partite di calcio di una buona squadra. Poi c'è un certo mondo degli affari, vasto e a suo modo visibilissimo nell'esibizione costante di auto opulente o vetrine costose. Quanta ripetitività per quelle strade di negozi di lusso, incorniciate nello splendido paesaggio e spietatamente impostate ad excludendum di chi ricco non è. Nel principato l’unica aria di un atto di bene per l'umanità pare respirarla all'Istituto Oceanografico, piccolo modello di ricerca.
Montecarlo, o della futilità - insomma. Eppure a questo stato, più grande al mondo solo del Vaticano, a questi 32.000 cittadini esentasse, è riservato un voto alle Nazioni Unite come al miliardo di cinesi o indiani. Dai microstati emana un senso di sottile minaccia per il consesso internazionale, come accade nelle buone famiglie con i ribelli, gli anticonformisti, i piccoli irriducibili.
Per i microstati il catalogo dei sospetti infanganti è da tempo variegato: piccoli santuari fiscali per grandi evasori, sistemi bancari compiacenti per il crimine organizzato, luoghi di fuga per ricercati facoltosi; e poi, chissà, appigli possibili per terroristi, mafiosi e trafficanti d'alto bordo. Inquietudini non del tutto sopite in alcuni casi, ma risolte da tempo con Monaco. L'adesione al Consiglio d'Europa ha rafforzato l'assunzione di una comune responsabilità col resto dell'Europa in mille campi: stessi parametri, stessi diritti, così come l'adesione all'euro aveva a suo tempo uniformato le procedure monegasche ai criteri più rigorosi contro il riciclaggio di denaro sporco.
Ma come fu a sua volta nel 1993 con l'ingresso nelle Nazioni Unite, il benvenuto a condividere oneri e onori della comunità internazionale, si rovescia nel disappunto verso il privilegio di un manipolo di abbienti cittadini che aggiungono ai tanti privilegi pure quello di una sproporzionata equiparazione, anche in termini di diritto di voto, negli organismi internazionali. Non se ne esce: se si è fuori dalle organizzazioni internazionali si è fuori controllo, se si è dentro si riceve un riconoscimento esagerato.
Rimane solo, in fondo, un senso d'invidia per il disinvolto distacco di luoghi come Montecarlo verso le complesse sfide del mondo. E che quella che altrimenti sarebbe solo una località di villeggiatura sia anche uno Stato con la S maiuscola, suona quasi come una provocazione.
Che so io: quando mai vedremo attraccare tra questi velieri una nave stracolma di rifugiati? Macron, dall’alto di un incerto europeismo, ha gelato l’Italia e gli italiani quando precisò che la Francia non sarebbe stata destinazione del popolo della traversata clandestina, ma può certo accampare che il suo paese di migranti ne accoglie a frotte e da tempo. Ma quale sarebbe la (seppure micro) quota del “mediterraneo” Principato di Monaco? Zero, mi sa.
È il privilegio, o la dannazione, del "tempo" di questi piccoli stati che non appartiene al tempo della Storia, fatta di sconquassi e campi di battaglia. Qui l'unica epopea è quella di una gloriosa continuità, puntellata da qualche trattato, Versailles nel caso di Monaco, che ha ingessato antichi equilibri.
Ben altri sono i problemi, non lo status di Monaco nel mondo - e infatti di Monaco non si parla – come non si parlò quando entrò nel Consiglio d'Europa. C'è di peggio. E così l'Europa si trastulla con gli amletici dubbi delle sue frontiere e di tutto quello che esse comportano – Inghilterra, Ucraina, Turchia, Mediterraneo, Russia – e nessuno pensa, né c’è bisogno di pensarci, alla monegasca cortina di ferro.
Niccolò Rinaldi