IL RIPOSO DI GIORGIO PRESSBURGER “Se tutti avessero solo dormito di notte, sai dove saremmo adesso?”

Giorgio Pressburger, insieme qui nella foto al più bello dei tanti caffè di Trieste, ci ha lasciato. Scrittore, uomo di teatro, ungherese, italiano, triestino, ebreo, ma soprattutto libero, come una foglia salda al suo ramo – di legno solido, di radici profonde come tutte le persone, rare, della sua schiatta.
Giorgio veniva da una storia che ha fatto l’Europa, che da Mitteleuropa è stata Europa unita ante litteram, senza bisogno di trattati. Un’Europa plurale, dove si ignorano i confini delle lingue e degli Stati, e si conoscono solo quelli tra la cultura e l’ignoranza.
Tuttavia ci eravamo conosciuti non attraverso i suoi libri, che pure amavo, ma la politica. Candidato nel 2009 alle europee, era per me il nome più illustre, non solo dell’IdV ma di tutti i partiti, nella circoscrizione del nord-est - dove votavo e dove lo votai. Per me più di ogni altro meritava di approdare al Parlamento Europeo, perché con lui sarebbe arrivata nell’istituzione tutta un’epopea, quella delle tenaci minoranze che hanno fatto la storia. Fu quello l’inizio della nostra amicizia, che ancora recentemente avrei voluto portare nel mondo repubblicano e liberale - il suo.
Giorgio sapeva che per lui non ci sarebbe stata una seconda possibilità. Ma quando si aveva la sua ironia, la sua saggezza, la sua cultura abituata a solcare i cataclismi del continente, e i suoi lettori, si aveva molto di più di quanto possa offrire la politica. Così gli dicevo. Lui si scherniva, ma sapeva che era così.