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CI HA LASCIATO ANTONIO BORGHESI, MA NON IL SUO ESEMPIO. PER LUI SOLO UN ABBRACCIO E UN IMMENSO GRAZI


Come si dice, “quando muore qualcuno muoiono anche le stelle, e quelle che vediamo sono delle altre”. E la malattia ha sottratto ad Antonio la vita, ancora così piena, e a noi un firmamento costellato delle tante luci del suo impegno. Qualsiasi elenco sarebbe patetico, ora. Perché non contano tanto il suo curriculum da uomo di grandi competenze messe al servizio della collettività, le sue mille cose fatte, o il primato (che dice già tanto) di deputato più produttivo della scorsa legislatura: ciò che Antonio rappresentava era soprattutto la combinazione di tre qualità per lui così esistenziali.

La passione, il mettere il cuore in ciò in cui credeva e crediamo, l’entusiasmo - che, tanto per dirne una, lo ha portato, già malato, a essere il vero promotore e fondatore di noi Liberi Cittadini, proprio quando molti mettevano i remi barca del loro voler aiutare il bene comune.

La solidità dell’affrontare qualsiasi tema – etico, economico internazionale, qualsiasi – rifiutando ogni spontaneismo, senza lasciarsi travolgere dalla “passione” appunto o da un superficiale intuito, ma procedendo sempre con metodo, ovvero studiando, documentandosi, confrontandosi, mettendo insieme il particolare col tutto; un rifiuto di ogni improvvisazione che lo faceva diffidare dei “movimentismi” e che lo ha sempre reso, anche da capogruppo alla Camera, un politico metodico e anche un uomo di squadra e di partito, pronto a rimettersi alle decisioni della maggioranza, purché maturate in modo democratico.

La sua granitica onestà, applicata a tutto, la sua indignazione per vitalizi e vergogne varie, la sua diversità strutturale rispetto a quei tanti politici italiani che vedendo i soldi perdono la testa (e l’anima), la sua attenzione sistematica alla trasparenza - tanto che io penso che la sua candidatura alla segreteria dell’Italia dei valori, poi confluita in una proposta a quattro, era la più osteggiata proprio per un timore nemmeno tanto inconfessato nel vederlo, come io proponevo, assumere la carica di tesoriere.

Aggiungo un quarto fiore: il sentimento, così forte, dell’amicizia. Antonio coinvolgeva, dava fiducia, amava insegnare nel senso ormai dimenticato, era un compagno di una lealtà assoluta, la rara persona a cui si poteva dare piena fiducia: per me uno dei più luminosi incontri, a lui devo molto. E anche un pranzo come quello che abbiamo avuto a Verona alla vigilia di natale (e ne parlo qui perché è stato l’ultimo), mi mancherà sempre.

In tutte queste sue qualità, Antonio era, nel senso migliore, come un protestante: apparteneva a quella cultura della militanza che non smonta mai, propria delle minoranze certe di farsi carico di una rettitudine e di una inflessibilità indispensabili in un paese moralmente allo sfacelo. E, per questo suo essere, interloquiva senza pregiudizi con tutti coloro, destra o sinistra poco cambia, che fossero animati dalla stessa visione della politica non solo come uso virtuoso del potere, ma – ed è quasi eredità risorgimentale – come esercizio di una missione, compimento di un dovere civile, assolvimento di un mandato pubblico.

Alla fine non si può tracciare un bilancio dell’impegno di Antonio Borghesi. Per persone come lui, ogni consuntivo è il libro aperto di un percorso mai del tutto compiuto, un cammino tra le luci e le ombre della storia dell’Italia, dove quello che conta non è una serie di risultati durevoli o precari o di sforzi incompresi, ma la dedizione dell'uomo, il suo servizio verso la collettività, la sua capacità di servire gli interessi degli altri. Se la si mette così, il bilancio è altissimo.

Per questo, per noi che l’abbiamo conosciuto e che con lui abbiano lavorato, e per la laica Italia della ragione, sarà il dopo Antonio a darci la misura di Antonio Borghesi.


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