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RECOVERY PLAN: UNA SVOLTA DECISIVA CHE RICHIEDE ATTENZIONE - L'Iniziativa Repubblicana, 29 maggi


L’opposizione al Recovery Plan da una parte di alcun paesi UE, e in Italia dai settori principali del centro-destra, è meno avventata di quel che sembra. Infatti ai sovranisti più avveduti non sfugge che la proposta della Commissione, sulla scia di quella franco-tedesca, della richiesta italiana e del voto del Parlamento Europeo (ma appunto non della Lega e di FdI), costituisce una svolta di rilievo dell’Europa, anche in prospettiva costituzionale. Se va in porto, non ci guadagna solo l’Italia, ma l’intero rilancio del progetto europeo auspicato da sempre dai repubblicani. Perché?

  1. L’Unione sfida un tabù e ricorre all’emissione di titoli per finanziare la spesa pubblica. Accade per la prima volta, applicando la “regola d’oro” per la quale investimenti con durata pluriannuale possono essere finanziati con debito. Ricorrendo direttamente al mercato finanziario, si potrà spalmare nel tempo i costi del sostegno alla ripresa.

  2. Attraverso la inedita Decisione sulle risorse proprie, si aumenta il tetto per gli stanziamenti di impegno e di pagamento, così che la Commissione possa prendere a prestito 750 miliardi sul mercato, cifra inimmaginabile se la si fosse dovuta raggiungere con prelievi fiscali.

  3. Anche se non siamo ancora in condizioni di calcoli finali, al momento, dobbiamo sommare a questi fondi i 540 miliardi già decisi del MES (per la sanità), di SURE (per la disoccupazione) e della BEI (per progetti di sviluppo), e i 1.100 miliardi previsti dal prossimo Quadro Finanziario Pluriennale. In tutto, l’Europa potrebbe mettere sul piatto oltre tremila miliardi. Non si ratta di fondi a “effetto leva” come per buina parte del piano Juncker, ma di “soldi veri”.

  4. Di grande rilevanza, anche se forse ne può sfuggire l’importanza a prima vista, è l’aumento delle risorse proprie, con una nuova fiscalità europea in linea con la sostenibilità ambientale e di fatto con l’equità nei rapporti commerciali. Questo dovrebbe avvenire con: a) Una nuova risorsa legata all’Emission Trading System, esteso possibilmente ai settori marittimo e dell’aviazione b) L’introduzione di un diritto doganale alla frontiera (Border Carbon Adjustment - BCA per garantire la competitività delle imprese europee che pagano un prezzo per i danni causati dalle emissioni di CO2. c) Una tassa sulle società prelevata su una base imponibile comune definita a livello europeo – al fine di evitare fenomeni di dumping fiscale. d) Una tassa digitale sul modello dell’OCSE e applicata ai giganti del web, ovvero a imprese con un fatturato superiore a 750 milioni.

Manca moto alla costruzione europea (a cominciare da una vera politica estera e difesa e dalla riforma delle istituzioni). Ma siamo in presenza di una svolta profonda in termini di condivisione del debito, raccolta delle risorse, fiscalità europea, programmazione delle priorità. Mica poco, e il cambio di atteggiamento da parte di certi paesi è sorprendente, mentre non lo è l’ostilità dei sovranisti.

Non si delinea un paese della cuccagna, ma una serie di risposte intelligenti che potranno funzionare in base alla risposta che saprà dare l’Italia con riforme altrettanto coraggiose, e che come federalisti e repubblicani chiediamo da almeno dieci. Che ci sia voluta una pandemia, non è ragione di conforto, ma nemmeno è la stagione dello scetticismo, tanto più che la svolta è ancora in divenire – non ci stanchiamo di ripetere che il negoziato è lungo – con ostacoli interni ed esterni. È il momento della consapevolezza di quanto può accadere, di congiungere gli sforzi tra europeisti in Italia e fuori d’Italia e di valicare “la linea d’ombra”.

Niccolò Rinaldi


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